|
Cosa penso della fotografia
Fotografare è documentare la vita propria e della società di cui si è parte.
Dall’invenzione della fotografia in poi, ogni tipo di avvenimento, anche il più drammatico, come la vita nei campi di concentramento nazisti, è stato documentato fotograficamente, e molte persone hanno perso o messo a rischio la propria vita per documentare gli accadimenti.
Abbiamo detto “di parte” ma la fotografia non è obiettiva?
Ogni fotografia è di parte, dato che lo sguardo è puramente soggettivo e quindi il risultato non può essere oggettivo. E non è vero che la fotografia deve essere per forza spontanea, Steve McCurry, per esempio, non ha mai fatto una foto spontanea.... l'importante è che la costruzione sia veritiera e trasferisca i sentimenti e le sensazioni che il fotografo vuole dare.
Trasferire i sentimenti e le sensazioni, questo il compito del fotografo.
Ognuno di noi quando guarda o costruisce una relazione con un soggetto, prova delle sensazioni, dei sentimenti. Per questo quando facciamo una foto dobbiamo usare tutti i nostri sensi, dobbiamo ascoltare, odorare, toccare con gli occhi!
La capacità del fotografo è appunto di riuscire tramite lo scatto e il successivo sviluppo a riportare a chi guarderà quella foto le sensazioni che stava provando in quel momento.
Altro mito da sfatare è che la foto deve essere così come viene fuori dalla macchina. La macchina fotografica non vede come noi, quindi dobbiamo ridare alla visione della macchina la visione del fotografo. Questo è lo sviluppo o post-produzione, chiamatelo come volete.
Se poi si “strania” il contenuto del negativo, sia esso digitale che analogico, allora sì che entriamo nel campo del “fotografico”.
Bianco o nero o colori?
Il vero problema, non è il bianco nero o i colori. Quello è un falso problema. Il vero senso della fotografia è cosa vogliamo e riusciamo a dire nella foto, e da lì discende l’uso del bianco nero e del colore, e di come usare i contrasti e le tonalità, le sovra e le sottoesposizioni; tutto finalizzato a portare l’occhio dello “spettatore” sul punto focale che vogliamo lui colga.
E il fotografo deve decidere cosa vuole dire e come dirlo, e non attestarsi dietro una forma che aveva senso solo quando avevamo un solo tipo di emulsione con noi, e che spesso diventa un puro formalismo.
Il bianco e nero racconta il movimento, l'espressione, è, nella sua mancanza di colori, il vettore dei sentimenti.
Il colore talvolta non aggiunge nulla, racconta il colore, e serve quando questo va raccontato.
In fotografia la narrazione del se soggetto è indispensabile.
Altrimenti si ricade nell’estetismo fine a se stesso, e nella celebrazione dell’io fotografo. La fotografia è uno scritto in relazione tra chi racconta una storia e chi la raccoglie. Un’intervista intima.
È una narrazione senza parole, e questo è il grande mistero della fotografia, del fare fotografia, non dello scattare delle fotografie. Le relazioni segrete che intercorrono tra soggetto e fotografo, tra chi narra con gli sguardi e il corpo e chi questi sguardi e questi gesti raccoglie.
Ma è questo che rende la fotografia interessante, passare dal personaggio alla persona, e rendere la persona soggetto di azioni sceniche, in cui non sia però personaggio, ma essa stessa.
Nasce un modo nuovo di concepire il fotografare. Parafrasando Guido Guidi potrei dire: “Utilizzo la camera fotografica come strumento di osservazione analitico e straniante, per esplorare un percorso come tanti, ma scelto con accuratezza tra quelli più distanti dalle mete consuete del glamour, del ritratto e dell’erotismo... Insomma una persona con cui spogliarsi della inibente intenzione di fotografare quella persona per fotografare "con" quella persona.”
La fotografia, come tutte le arti espressive è riflessione... prima durante e dopo... se no scatti e basta,
come fanno tanti... troppi... che son poi bravissimi a trovare dei titoli che son dei romanzi per foto totalmente prive di senso e di empatia. Magari tecnicamente perfette ma totalmente vuote.
In troppe foto vedo la ricerca di una scenografia interessante, piuttosto che di una azione o di una relazione interessante.
Leggo questa frase di Virgilio Sieni (danzatore e coreografo): «Non essendoci un canone di bellezza prestabilito, cos’è la bellezza se non un atto profondo di attenzione e desiderio di comprensione verso gli altri?»
Ecco la fotografia è questo atto profondo di attenzione e comprensione dell’altro, sia esso soggetto-persona che soggetto-inanimato.
Personalmente mi sento più un fotografo di persone. Qualche anno fa un mio amico mi disse che anche dove non c’erano le persone queste si vedevano nelle mie foto. E per narrare le persone spesso scelgo il nudo che è la vera essenza della persona. Nell’uso del proprio corpo non c’è più nulla dietro a cui nascondersi si è semplicemente se stessi. Ci si veste del proprio nudo, e si diventa se stessi. Il nudo è l’essenza stessa della purezza, non è mai volgare quando è volgare non è più nudo.
Fotografare che una persona è già un onore
perché la persona si sta aprendo a te si sta praticamente liberando delle sue barriere confidandoti la sua vita. Fotografare un nudo è l'occasione di raccogliere veramente l’essenza della persona perché disvelando il suo corpo si disvela la sua anima permettendomi di entrare in una profonda relazione empatica con lei.
È un atto di amore.
È l’erotismo nella sua forma più pura: scambio ideale dei sentimenti.

Sono nato a Eboli, nel 1956. Eboli, sì, dove si è fermato Cristo, come mi sento dire da ormai troppi anni. Eboli che è in provincia di Salerno, in Campania e non in Lucania, come molti pensano.
Ho cominciato a fotografare quando avevo 9 anni, quando i miei genitori mi regalarono per la Befana una Bencini Comet 2. Ho ancora quelle prime foto.
Da allora ne ho fatte tante, il mio archivio supera il milione di foto, alcune belle… altre significative, altre brutte, ma che rappresentano un ricordo!
Torna alla home page |