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Spiegel im Spiegel, - Arvo Pärt - Ji Yoon Park (violino) - Catherine Cournot (piano)
Prima di fare qualche scatto - ormai un rituale nei pomeriggi in cui gli faccio visita - ho raccontato a Dante della crisi creativa in cui sono immersa da anni. Mentre lui aggiustava l'esposizione ho ricordato di quando da bambina trasformavo con la mente il mondo davanti ai miei occhi, così che la mia bici diventava un maestoso cavallo, la casa di riposo davanti alla mia finestra si annullava per fare spazio all'aperta campagna, e io di colpo ero un'altissima elfa che combatteva le ingiustizie con arco e frecce.
Poi si cresce e si iniziano a fare i conti con la realtà, quella che ti prende in faccia mentre tu stai ancora col culo sulla sella a pettinare il cavallo fatato. Progressivamente la mia immaginazione veniva risucchiata al di fuori di me.
Ho sempre scritto. Da bambina non leggevo, ma scrivevo. Inventavo storie impegnandomi a formulare periodi complessi, dialoghi originali, correggevo la grammatica, le facevo leggere ai miei genitori che già gongolavano all'idea di mandarmi al liceo classico. Eppure è stato proprio il liceo classico uno dei più grossi pali in faccia, di quelli che te li ricordi. A poco a poco mi hanno incasellato dentro lo schema, incastrato nella cornice sociale dalla quale se provi a mettere il naso fuori sei un deviante. Ho sempre continuato a scrivere, certo, decine e decine di temi, comunicati, volantini, papiri drammatici ai morosi, casi clinici, risposte brevi, risposte lunghe, email ai professori, email ai datori di lavoro, diari scritti a mano e note sul telefono. Era tutto scritto bene, con occhio ossessivo sulla grammatica e la struttura, ma impersonale. Mancavo io. Ricordo comunicati da correggere perché scritti troppo poco in politichese, e di fatto poi non li capiva nessuno. Manco io che li scrivevo.
Questo bavaglio alla creatività c'è ancora, la differenza sta nel fatto che oggi lo so, e l'idea sarebbe quella di sfilarmelo via di dosso.
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